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sabato 8 maggio 2010

L’impronta ecologica, ergo quanto l’uomo pesta i piedi al pianeta

Si parla tanto di ambiente di questi tempi. Sarà il principale problema del terzo millennio, non “le risorse si stanno esaurendo”, “il pianeta si sta scaldando”, “il buco dell’ozono va espandendosi”, eccetera eccetera.
Vero. Tutto vero. Per ricorrere a un comune modo di dire, da questo punto di vista siamo nella “m***a” fino al collo e, se l’andazzo generale resterà questo (ma potrebbe anche peggiorare), tempo qualche decennio ne avremo fin sopra i capelli. La realtà è che i danni ambientali causati dal progresso dissennato (e dunque spesso poco controllato) del genere umano nell’era industriale sono difficilmente “visibili”, percepibili dall’uomo oggi. In fondo chissenefrega se la temperatura terrestre aumenta di qualche grado (anche) perché si usa la macchina pure per andare dalla nonna che abita in fondo alla via. Saranno problemi per i pinguini dell’antartico a cui si scioglierà un po’ di ghiaccio sotto i piedi, non certo nostri.
O ancora, se a causa delle emissioni della mia industria da qualche parte in Amazzonia arrivano raggi ultravioletti e cancerogeni perché lo strato di ozono si è bucato, perché preoccuparsi? Al massimo avremo qualche indigeno con tre occhi. Questi esempi possono risultare un po’ banali e un po’ troppo semplificati, ma servono a comprendere facilmente la gravità della questione: lo stile di vita condotto dall’uomo oggi è ambientalmente insostenibile e causerà conseguenze gravissime alle generazioni future.
Fortunatamente negli ultimi vent’anni qualcosa si è mosso. Per la prima volta l’uomo ha iniziato a vedere il pianeta come un bene comune da salvaguardare anziché come risorsa da scialacquare liberamente. Nasce, all’inizio degli anni novanta, il concetto di sostenibilità, ossia dell’attuazione a livello mondiale di una politica di sviluppo economico e sociale che garantisca il mantenimento degli attuali standard di vita umana senza compromettere lo scenario mondiale per le generazioni future. Assieme a questo nuovo concetto viene pensato da un paio di ricercatori della British Columbia University un semplice metodo per valutare l’impatto sull’ambiente di ciascuna persona, ossia la sua impronta ecologica. Essa indica quanti ettari di terreno “biologicamente produttivo” servono per soddisfare i bisogni (acqua, energia, alimenti...) del singolo individuo, sulla base dei beni e servizi da lui consumati. Il risultato va confrontato con quello di biocapacità pro capite della Terra, cioè quanto terreno “biologicamente produttivo” può garantire il nostro pianeta per ogni singolo individuo.
Ora è tempo di snocciolarvi qualche dato: assumendo che ogni abitante della terra abbia diritto ad una uguale quantità di risorse e stando al rapporto del Global Footprint Network del 2008, la biocapacità media è di 2,1 ettari per abitante, a fronte di un’impronta ecologica di 2.7. Morale: consumiamo più di quanto potremmo, sconvolgendo così l’equilibrio terrestre.
Osservando i dati con attenzione si può notare come sia la biocapacità che l’impronta ecologica delle varie nazioni non siano distribuite omogeneamente sul pianeta: ci vuol infatti poco a capire che a fare la parte del leone alla voce consumi siano i Paesi sviluppati, con gli Stati Uniti in testa (hanno una IE di addirittura 9.5 ettari/ab), seguiti da diversi stati europei tra cui l’Italia (4.8).
Sul versante opposto, per la biocapacità si trovano in testa paesi africani quali il Congo, avente una BC di 13.9 ettari/ab, a fronte di un’impronta ecologica di soli 0.5 ettari/ab. L’equazione è dunque semplice: il mondo sviluppato consuma così tante risorse in più di quelle che dovrebbe che nemmeno tutto ciò che non viene consumato dai Paesi del Terzo Mondo sarebbe sufficiente per colmare la situazione di debito globale.
Questo dovrebbe essere un buono spunto per farci riflettere, poiché l’Italia stessa consuma circa 4 volte di più di quello che potrebbe permettersi, soprattutto nelle regioni del Nord dove il rapporto Impronta Ecologica/Biocapacità arriva ad essere pari a 5.75 volte nel caso della Lombardia. E allora, alla luce di questi dati, bisognerebbe ricordare che a quelle persone (e partiti) che additano gli immigrati come fannulloni e criminali, che se tutti vivessero come viviamo noi il mondo collasserebbe in pochi anni. Ciò detto, per concludere vi invito a calcolare voi stessi la vostra Impronta Ecologica: in rete si trovano diversi modelli di calcolo più o meno complessi e il tutto può essere fatto in non più di una mezz’oretta. Potrete così capire quanto “costate” al pianeta, nella speranza che questo possa tradursi in qualche doccia in meno e qualche chilometro in più in bicicletta...

di Marco Pozzoli, da La Voce di No Mas

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